Salta al contenuto principale
  1. Posts/

Finire per cominciare di nuovo

S06E00

“Inedito, ricavato dai manoscritti preparatori delle Norton Lectures. Si tratta della stesura, provvisoria ma completa, della conferenza iniziale; questo testo (che reca la data 22 febbraio 1985) verrà poi scartato, ma parecchio materiale era destinato a confluire nella sesta lezione, rimasta incompiuta, Consistency.(…)” (Lezioni Americane p. 123).

Per capire lo scopo di quest’ultima puntata della serie è necessario sapere che si basa sugli appunti di Calvino a proposito del “cominciare e finire” e che, come riportato nella citazione sopra, erano stati pensati e trascritti per una conferenza d’apertura. Per Storyfilters significa concludere un percorso con una riflessione su un testo che era stato pensato come inizio, ovvero chiudere una finestra per spalancare le porte ai progetti e alle serie che abbiamo nei cassetti, negli armadi e sotto i tappeti; tuttavia, essendo giunti alla fine di

Six Memos, è necessario salutarvi con un ultimo – strappalacrime e strappaclick – pezzo collettivo.

Il distacco dalla molteplicità dei possibili
Appoggiate di fianco allo schermo con aperta una pagina bianca, le Lezioni Americane sono state il nostro primo e fondamentale “momento di distacco – durato praticamente un anno – dalla molteplicità dei possibili”, la nostra prima scelta, il nostro primo utile filtro per raccontarvi, secondo le nostre inclinazioni, l’era dell’informazione. Sono state la nostra ancora di salvezza quando ci siamo detti: “Ok, apriamo un blog che parla di narrazione e digitale. Ma di che parliamo? Come lo decliniamo? Che ci scriviamo?”.

“Il punto di partenza delle mie conferenze sarà dunque questo momento decisivo per lo scrittore: il distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole. Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo (…) dato in blocco, senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di situarci in questo mondo”.

Ma allora Storyfilters è…
Intendiamoci subito: l’intenzione di trovare un nostro posto in questo mondo ce l’abbiamo tutti e la procedura che Calvino descrive per ottenerlo vale per tutti, non solo per gli scrittori. Visto allora che il ragionamento offre così tanti spunti, vi proponiamo quello che in questi mesi abbiamo tentato di approfondire:

Quando ci connettiamo a Internet sarà dunque questo momento decisivo per tutti: il distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole. Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a digitare, abbiamo a disposizione il mondo (…) dato in blocco, senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento, un’informazione: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di situarci in questo mondo”.

Ci rendiamo conto che la sovrapposizione dei temi, i parallelismi e le similitudini possono aver creato confusione, ma riflettendo abbiamo anche capito che la stessa confusione persiste quando ci connettiamo al web: ci sentiamo artisti, scrittori o giornalisti senza esserlo solo perché ci mettiamo a digitare o perché pubblichiamo le nostre opere o lasciamo un qualunque segno del nostro passaggio – tra parentesi: anche i cani lasciano un segno non proprio elegante del loro passaggio. Il web ha abbassato la soglia delle competenze necessarie per accedere ai contenuti (e questo è un bene), però, contemporaneamente, ha creato due ordini di problemi.

L’oblio e la perdita – La memoria e l’impegno

“Memoria e oblio sono due entità complementari. Se ci riportiamo alle origini orali dell’arte del raccontare, il narratore di fiabe fa appello alla memoria collettiva ma allo stesso tempo a un pozzo di oblio da cui le fiabe emergono, come spogliate d’ogni determinazione individuale.
“C’era una volta…” Il narratore racconta perché ricorda (crede di ricordare) storie che sono state dimenticate (che crede siano state dimenticate). Il mondo del molteplice da cui la fiaba affiora è la notte della memoria ma anche la notte dell’oblio. Uscendo da quel buio, tempi luoghi persone devono restare indistinti perché chi ascolta la fiaba possa immediatamente identificarsi con essa, completarla con immagini della propria esperienza”.

Il primo ordine di problemi è che tutti siamo rimasti talmente abbagliati dal poter avere così tanta conoscenza che abbiamo perso la nostra capacità critica. Fondamentalmente è possibile che sia un discorso di numeri e quantità: già con la televisione si aveva quest’impressione, ma ora il flusso esagerato di informazioni si è moltiplicato e quando lo riceviamo non riusciamo a sottoporlo al giusto filtro perché semplicemente trasborda e quindi aggira l’ostacolo; oppure siamo talmente assuefatti dal bombardamento di notizie che vogliamo essere colpiti solo dalle sciocchezze o cattiverie gratuite.
I criteri con cui selezioniamo quello che ci interessa veramente sono diventati categorie enormi, piene di eccezioni e di distinguo per i più svariati motivi: è vero che tutto è più fluido, ma siamo diventati più fluidi anche noi. In tutto questo l’allargamento della base democratica delle persone che accedono al web e producono informazione (anche se è bene ricordare che le macchine producono più informazioni di noi già da tempo) porta necessariamente a un ampliamento del bacino verso il basso degli utenti, verso chi non è esperto, verso l’uomo medio perché, coinvolgendo più persone, è inevitabile che tutto debba essere più pop, user-friendly, semplice e semplificato; quindi, in un certo senso, il processo di perdita di nostra capacità critica e l’aumento della percezione dell’oblio generale sono due fenomeni quasi naturali. Prima o poi, quando gli utenti saranno più consapevoli ed educati all’uso dei mezzi, si raggiungerà un equilibrio.

Il secondo ordine di problemi può essere riassunto così: un like o retweet o una firma a una petizione online valgono come la partecipazione a un corteo o a uno sciopero? Un commento a una foto di un goal vale come andare allo stadio per sostenere la propria squadra? Insomma: siamo più pigri da quando c’è il digitale?
Il concetto di “firma” si è depotenziato moltissimo nel corso del tempo: quando pochi sapevano scrivere era come un sigillo; da quando molti sanno firmare è diventata una condizione minima per essere considerati cittadini; con l’arrivo delle petizioni online la firma ha cambiato totalmente forma e se la causa non ne raccoglie mezzo milione in meno di due ore non vale niente. A questo punto ci chiediamo: è diventato più semplice o più facile partecipare ed essere ascoltati come cittadini? L’impegno, inteso come promessa che si rinnova ogni giorno, ha necessità della memoria, ma sommersi come siamo in una narrazione senza fine, non rischiamo di perdere o confondere tutto quanto?

La barzelletta
Pensate ora al racconto di una barzelletta, forse l’unica forma orale che ha ancora una tradizione che si rinnova: ogni volta che viene raccontata assume sfumature diverse in base al contesto e al narratore, come se fosse sempre nuova anche se è arcinota. Il narratore recupera alcuni tratti, ma ne disperde degli altri (sperando non siano quelli fondamentali) in base a quello che si ricorda e a quello che vuole far ricordare ed è verissimo il fatto che “tempi, luoghi e persone devono restare indistinti”: “ci sono un italiano, un francese e un inglese…” per esempio.

Tuttavia, se raccontata in prima persona, come abilmente fa Berlusconi (anche se dovrebbe aggiornare il repertorio, visto che la storia del dito medio e della mamma l’aveva già raccontata dieci anni fa) o con un collegamento diretto inventato (potrebbe essere anche chiamato link o ancora), una barzelletta può fare ancora più ridere, infatti Calvino aggiunge:

“Il narratore, per Benjamin, era colui che trasmetteva esperienza, in epoche in cui la capacità degli uomini di imparare dall’esperienza non era ancora perduta. Il narratore attinge a un anonimo patrimonio di memoria trasmesso oralmente, in cui l’evento isolato nella sua singolarità ci dice qualcosa sul “senso della vita”. Cos’è il “senso della vita”? È qualcosa che possiamo cogliere soltanto nelle vite degli altri che, per essere oggetto di narrazione, ci si presentano come compiute, sigillate a morte. Il racconto popolare parla della vita e nutre il nostro desiderio di vita, ma proprio perché questa vita contiene implicita la presenza della morte, cioè ha per sfondo l’eternità”.

Possiamo trarre la morale delle storie solo perché esse sono concluse e chiuse, finite. Ed è naturale che se invece siamo costretti a seguirle “in diretta” sui social network non ricaviamo niente di utile: sapere della vita degli altri allora aumenta solo l’insoddisfazione della propria e la gelosia nei confronti delle vite che non sono nostre.
Seguendo un altro filo del ragionamento di Calvino, si apre un altro scenario: quando abbiamo perso la capacità di imparare dall’esperienza? Probabilmente quando si è creato questo miscuglio tra storytelling e marketing, cioè forse quando abbiamo smesso di ascoltare le storie con lo scopo di imparare – e non comprare – qualcosa.

È vero: tutto è storytelling, ma non tutto si può vendere

“Il ricordo – dice Benjamin – crea la rete che tutte le storie finiscono per formare fra loro.”

Applicata al marketing questa frase ci regala le meravigliose campagne pubblicitarie in cui non si sa praticamente nulla del prodotto, ma si capisce solo che è presente nei momenti migliori, di riconciliazione, più spensierati e felici delle nostre esistenze: se attraverso le storie pubblicitarie quel prodotto poi viene da noi associato ai ricordi che abbiamo, l’azienda ha probabilmente vinto.

“Benjamin accenna all’importanza che hanno avuto i mercanti nell’arte di raccontare, con le loro “astuzie per captare l’attenzione degli ascoltatori” e come essi “hanno lasciato un’orma profonda nelle Mille e una notte”.

L’esperienza, ovvero il sapere e il saper fare, è invendibile, è qualcosa che dovrebbe sottostare a regole diverse da quelle del mercato, dovrebbe essere tramandato, raccontato e soprattutto praticato. La mercificazione delle storie ci ha reso sospettosi verso gli altri e verso quello che ci raccontano, ci ha reso dietrologici. “Perché dice questo?”, “Quello scrive così perché ha interesse!” sono frasi e ragionamenti compiuti non solo dai complottisti, tutti quanti ci caschiamo. Fondamentalmente manca la fiducia, che in un villaggio – pure in quello globale – dovrebbe essere alla base di tutti i rapporti.

E per finire ricominciamo

“Il finale veramente importante è quello che come nell’Education sentimentale mette in discussione tutta la narrazione, la gerarchia di valori che presiede al romanzo.”

Quindi vi lasciamo mettendo in discussione tutto quello che abbiamo scritto? Sì, perché ogni volta che abbiamo scritto qualcosa non abbiamo scritto quella opposta o adiacente o simile solo perché non avevamo tempo o spazio (e questo è un piccolissimo spoiler sulla serie successiva…); e poi perché Calvino ci ha lasciato qualche domanda che ci tormenta:

“È possibile raccontare una storia al cospetto dell’universo? Com’è possibile isolare una storia singolare se essa implica altre storie che la attraversano e la “condizionano” e queste altre ancora, fino a estendersi all’intero universo? E se l’universo non può essere contenuto in una storia, come si può da questa storia impossibile staccare delle storie che abbiano un senso?”