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Io non credo in Google

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No. Io non credo nell’esattezza di Google, nelle app che dicono di conoscerci meglio del nostro dottore, nelle immagini di Facebook, nelle pubblicità di Amazon. Non credo ai click, al numero di follower, ai big data. Non credo neanche alla geolocalizzazione e a tutti quegli algoritmi che pensano di sapere i nostri interessi prima ancora di averli espressi.

E non credo alle pubblicità emozionanti di Apple o Samsung, all’idea che un device possa cambiarti la vita trasformandola in un meccanismo perfetto senza errori.

Eppure, se mi guardo attorno, non posso fare a meno di pensare a come questo nostro Tempo si stia sempre più convincendo di avere catturato l’infinito e reso possibile l’impossibile. Un Tempo a cui non scappa più nulla, che controlla ogni singolo movimento, che non permette la noia, che fa arricchire con pochi sforzi, che non accetta il fraintendimento.

Se state pensando che questo sia l’ennesimo post di chi vuole colpevolizzare il web per delle colpe che appartengono all’uomo avete ragione solo in parte. In fondo, che colpa ha Google se le persone lo usano per fare delle ricerche credendo che abbia lo stesso valore, se non maggiore, della Bibbia? Quale responsabilità ha quello smartphone che viene agganciato ad un braccio per misurare un allenamento di corsa?

L’essere umano ha sempre avuto una forte attrazione per il controllo e la misurazione. A partire dall’invenzione dell’orologio, che ha inventato il tempo dando un tempo al tempo, fino ad arrivare ai Big Data, che hanno aggregato dati su dati rendendo possibili infiniti algoritmi. Jane McGonigal, programmatrice di video game, nel suo interessantissimo libro Reality is Broken, sostiene che uno degli elementi che rendono il mondo dei videogame più attraente della realtà è il feedback in tempo reale. Quanto manca al raggiungimento del prossimo obiettivo? Quanta energia ho ancora? Che tipo di arma devo usare per ammazzare il mio nemico? Nella realtà, questo tipo di feedback in tempo reale, non esiste. Certamente possiamo darci una serie di indici di verifica che ci permettono di valutare lo stato dell’arte di un nostro lavoro, ma il risultato non sarà mai lo stesso e soprattutto sarebbe parecchio faticoso. Prima dell’avvento degli smartphone avevate mai visto qualcuno preoccuparsi per il numero di passi fatti in un giorno? Io no e questo può significare due cose: 1. sapere esattamente quanta strada si percorre in una normale giornata di lavoro non è poi così importante oppure 2. grazie al digitale possiamo finalmente avere accesso ad una serie di dati “esatti” che prima ci erano ignoti.

Siccome non credo a nessuna delle due ipotesi provo a pensare ad una terza. Il digitale, grazie ai mobile device, ci sta consentendo di avere un feedback in tempo reale sulle nostre azioni (si chiama self tracking). Esattamente come succede nei videogame, tutto questo piace all’uomo in quanto permette di avere un controllo maggiore sulla propria vita. Fin qui nulla di male. Il problema, a parere mio, subentra nel momento in cui ci facciamo convincere dell’esattezza di questi dati che altro non sono che un sistema di misurazione della realtà filtrato a partire da alcune teorie di riferimento che spesso restano nascoste.

Oggi ci stiamo pertanto sempre più dotando di strumenti per misurare la nostra realtà. Vedi ad esempio l’Apple Watch, Microsoft Band, Withings Aura (per chi non sapesse registra il nostro sonno, ci fa svegliare nel momento migliore e, guarda caso, ci promette anche una bella compagna al nostro fianco!) e altre app che monitorano molti dei nostri comportamenti come tictrac.

Il fatto che le misurazioni siano sempre più accurate non significa però che siano più esatte e soprattutto che lo siano a livello assoluto. Il punto su cui soffermarsi penso sia proprio questo: non crediamo a questo genere di esattezza che si costruisce a partire dalla registrazione e dall’aggregazione dei nostri comportamenti. Certo non credere a tutto questo è sempre più difficile perché a mano a mano che vengono accumulati dati sulle persone l’immagine che ne scaturisce sembrerebbe essere sempre più dettagliata e reale. Ma anche in questo caso occorre accorgersi che questa misurazione non è che una delle misurazioni possibili. Raggiungere l’obiettivo di passi prefissati in un giorno non significa avere una vita sana se poi non si mangia in maniera equilibrata e non si fanno mai dei controlli da un medico. Il dato, piccolo o grande che sia, non è garante di esattezza perché è a sua volta stato scelto da qualcuno per misurare un determinato valore: anche lui è passato attraverso un filtro.

L’algoritmo di Google nasce dall’idea che i siti migliori sono quelli da cui passa maggiore traffico. Dire che Google ci presenti il risultato più esatto, pertanto, è scorretto in quanto dovremmo dire che tramite Google accediamo ai contenuti più popolari (e qui è svelato il perché su molti siti è pieno di video di gattini o di donne mezze nude). Google utilizza questo filtro e raccoglie i suoi dati partendo da questa scelta teorica fatta a monte.

L’esattezza non può pertanto che essere misurata all’interno di una cornice di riferimento ed è per questo che non credo nell’esattezza di quel web che sostiene di avere tolto l’infinito e l’impossibile dalle nostre vite. A tale proposito Calvino scrive una cosa bellissima:

“Alle volte cerco di concentrarmi sulla storia che vorrei scrivere e m’accorgo che quello che mi interessa è un’altra cosa, ossia, non una cosa precisa ma tutto ciò che resta escluso dalla cosa che dovrei scrivere; il rapporto tra quell’argomento determinato e tutte le sue possibili varianti e alternative, tutti gli avvenimenti che il tempo e lo spazio possono contenere. Per combatterla, cerco di limitare il campo di quel che devo dire, poi a dividerlo in campi ancor più limitati, poi a suddividerli ancora, e così via. E allora mi prende un’altra vertigine, quella del dettaglio del dettaglio del dettaglio, vengo risucchiato dall’infinitesimo, dell’infinitamente piccolo, come prima mi disperdevo nell’infinitamente vasto”

Non si può escludere l’infinito dalle nostre vite. Da questa prospettiva possiamo forse accorgerci che il web, ben lontano dal creare esattezza, ha allargato l’orizzonte dell’infinito all’infinito. Ci permette di approfondire, di andare a fondo, di scovare sempre di più, di incontrare persone, di avere delle informazioni su di noi inedite. Il web sta allargando la percezione della nostra realtà, non la sta rendendo esatta. Per cogliere tutto questo, però, bisogna accettare quello stato di smarrimento che, come sostiene Calvino, si prova quando ci si trova di fronte alla grandezza e alla vastità dell’opera umana. Ecco, io credo a questa esattezza.


Scritto da Alberto Rossetti | @alberossetti