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Lo studio di Internet non è rigoroso, è inutile!

·1005 parole·5 minuti
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“Il filo non è ciò che si immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggiante. E chi non vuole intraprendere una lotta accanita di sforzi inutili, pericoli profondi, trappole, chi non è pronto a dare tutto per sentirsi vivere, non ha bisogno di diventare funambolo. Soprattutto, non lo potrebbe. A proposito di questo libro: lo studio del filo non è rigoroso, è inutile.”

Philippe Petit, nel suo Trattato di Funambolismo, parte da questa avvertenza: il filo, la camminata del funambolo, non è il regno della leggerezza, dello spazio e del sorriso. Eppure, quando penso alla leggerezza, non posso fare a meno di pensare al funambolo che si muove leggero su una fune sospesa in mezzo al cielo. Può un funambolo muoversi in maniera pesante? Non credo. Può un funambolo fare dei movimenti grossolani? Non credo. Quindi?

La leggerezza non è un punto di partenza: non esiste oggetto al mondo che possa essere considerato leggero se non in relazione ad un altro oggetto (una penna è più leggera di una macchina). In questo esempio, però, stiamo ancora parlando della leggerezza da un punto di vista fisico. Difficile parlare della leggerezza quando ci stacchiamo dalla concretezza delle cose. Qualcuno di voi, leggendo, penserà che questo post è proprio pesante mentre ha letto altri articoli più leggeri. Resta un giudizio soggettivo, a meno che non decidiamo di usare categorie: un testo senza immagini è pesante, con immagini è leggero; un testo con le frasi lunghe è pesante, con frasi corte è leggero. Riusciamo così a definire la leggerezza, ma solo dopo avere usato questo trucco. Potremmo andare avanti, ma mi fermo per non diventare pesante e rischiare di cadere da quella fune che ho tirato con cura, sospesa tra due grossi pali: la leggerezza e il Web.

La digitalizzazione di molti aspetti della nostra vita sta permettendo un alleggerimento generale. Non abbiamo (quasi) più bisogno dei libri, dei fogli di carta, dei biglietti del treno, delle agende… Tutto è in formato digitale e non pesa sulle nostre spalle quando ci muoviamo per la città. La nostra stessa memoria si è alleggerita. Perché ricordarsi le date dei compleanni o i numeri di telefono quando è tutto salvato online? Che senso ha impiegare parte del proprio cervello per imparare l’inglese quando ci sono i traduttori che ci permetteranno di parlare in real time con le persone straniere? Perchè dover fare calcoli a mano quando abbiamo i software?

Per la cronaca, l’esempio dell’inglese, non è mio ma di un ragazzino che mi ha chiesto: ma perchè se Skype traduce l’italiano in inglese devo studiare l’inglese? Se pensiamo alla leggerezza come a qualcosa di fisico, che ci appesantisce, non possiamo che dare ragione a questo ragazzo. Ma la leggerezza non è solo questa.

E internet? È leggero?

Nell’immaginario comune sì. Il corpo, quello che ci appesantisce, resta seduto e non può fare danni mentre la mente comincia a correre su e giù, da una parte all’altra della terra: un post, un video, una serie Tv, una chat, un messaggio, una mail, una risata di fronte ad un video di Youtube.

La sensazione di leggerezza che Internet ci infonde è data proprio dall’assenza del corpo, ovvero il limite più grande, e per questo anche pesante, che possediamo. Il corpo ci limita, ci indirizza, ci dice cosa possiamo essere e cosa no. Se eliminiamo il corpo, lo riduciamo ad un’immagine che ci portiamo appresso, possiamo essere molto più liberi di fare e di essere qualunque persona o cosa.

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Ma, ancora, la leggerezza non è solo questa.

Su Internet ci sentiamo più leggeri, abbiamo la percezione di muoverci su una fune senza paura di cadere, possiamo accedere ad alcuni contenuti senza lasciare tracce apparenti in giro. Ma se andiamo un po’ in profondità, se scolleghiamo il concetto di leggerezza da quello di fisicità, possiamo accedere a nuovi contenuti molto più interessanti. Perchè è chiaro a tutti che uno smartphone pieno di applicazioni che inviano una notifica ogni 5 minuti non è sinonimo di leggerezza. Dover gestire contemporaneamente Twitter, facebook, Google+, Linkedin e Instagram non può essere una azione che porta leggerezza. Sentirsi obbligati a fare un check in con Foursquare o farsi geolocalizzare dal partner geloso non può voler dire che si è leggeri.

Ci accorgiamo allora che Internet, una volta che abbiamo fatto questi passaggi, non è per niente leggero. Abbiamo forse allegerito la borsa di lavoro, ma abbiamo aumentato una serie di attività che possono appesantirci. Il fatto che non sia leggero non significa però che non lo possa diventare: dipende da noi e da come decidiamo di abitare il mondo digitale.

Nel momento in cui smettiamo di pensare alla leggerezza di Internet e cominciamo a trattare il web come uno strumento potente che ci offre l’opportunità di dare una nuova forma ai nostri pensieri, ci accorgiamo di come al centro di questo processo ci sia l’attore di sempre: l’uomo. Internet offre all’uomo uno strumento nuovo, potentissimo che, a seconda di come verrà utilizzato, potrà rivelarsi leggerissimo come anche pesantissimo.

Trucchi, consigli, segreti per come operare questa trasformazione?

La corda del funambolo, lo ricordava Petit all’inizio del post, non è l’universo della leggerezza, dello spazio e del sorriso così come non lo è Internet. Ma lo può diventare se trattiamo il nostro rapporto con il web come una cosa seria, se ci interessiamo ad esso e non lo diamo per scontato. Infine, non dobbiamo dimenticarci di un punto fondamentale, che parafrasando Petit potrebbe diventare: lo studio di Internet non è rigoroso, è inutile. Intendo dire che è solo con la passione e la voglia di scoprire che possiamo fare in modo che il nostro rapporto con Internet diventi realmente leggero. Non serve rigore, non serve provare tutte le applicazioni, avere un profilo su tutti i social media, postare ogni nostro pasto su Instagram: no, per muoversi con leggerezza su questa fune digitale, occorre mettere al centro l’uomo, con i suoi limiti e le sue capacità. Altrimenti, si cade.


Scritto da Alberto Rossetti | @alberossetti