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Egoismo di gruppo

S03E01

A fine agosto 2016 ho scoperto dell’esistenza de La Salamandra CPI, una protezione civile nata in seguito al terremoto de L’Aquila nel 2009, che si è attivata poi per altri successivi diversi eventi catastrofici tra cui, più recentemente, il sisma in Emilia del 2012 e quello del 24 agosto scorso di Amatrice.

Essendo una costola diretta di Casa Pound Italia (CPI, per l’appunto), La Salamandra ha un’impostazione chiaramente fascista; così quando sono venuto a conoscenza di questa realtà mi sono posto una questione: com’è possibile che concetti onnicomprensivi come mutualità, umanità e universalità – che dovrebbero essere fondamentali per qualunque ente umanitario – appartengano al pensiero fascista (o fascista del terzo millennio) che punta a parcellizzare, a dividere e, in definitiva, a discriminare? Il ragionamento e le ricerche in proposito mi hanno portato a concludere che non possono esistere organizzazioni umanitarie destrorse, a meno che la parola “umanitario” non si svuoti totalmente di significato diventando una banale etichetta, usata anche questa dai fascisti, per screditare qualcosa o qualcuno che prova a occuparsi di tutti e non solo di alcuni.

Riconoscere i casi in cui la parola “umanitario” è usata in modo da lasciare ambiguità nella testa di chi ascolta è tutto sommato semplice: si trova nelle espressioni “le cosiddette organizzazioni umanitarie” oppure “le organizzazioni umanitarie, umanitarie tra virgolette”. Quando vengono usate espressioni come “tra virgolette” o “cosiddetto” o simili è necessario aguzzare le antenne, guardare bene in faccia la persona che le ha usate e porsi qualche interrogativo sulla sua preferenza politica, che magari è inconscia.

Sì, inconscia. Prima della sua cattura Mussolini lasciò un’ultima intervista in cui dichiarava: “io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Escludendo dal discorso l’immensa faccia di bronzo con cui maldestramente il duce tentò di levarsi dalle spalle il gravoso peso di responsabilità del tragico ventennio (si sa, sono fatti così!), in questa ridicola discolpa, duole ammetterlo, c’è del vero: il fascismo sembra essere un residuo del nostro inconscio (collettivo), un qualcosa di misero e disturbante, totalmente ingenuo, per certi versi quasi tenero, istintivo e animalesco. Essere fascisti presuppone una mentalità infantile, un egoismo singolo che, se condiviso, diventa di gruppo e che conseguentemente può avere solo vita breve. Capita troppo spesso ormai di sentire fascisti parlare e, al netto dell’aggressività che trasmettono anche dalla loro prossemica, il reale sentimento, dopo l’istintiva rabbia che sale dal profondo, è una certa tenerezza – per certi versi un po’ snob – tipica di chi intuisce che il proprio interlocutore non sa quel che dice o non ha afferrato qualcosa del discorso globale. Per capire può essere utile riferirsi a quell’atteggiamento di bonaria comprensione che gli adulti dimostrano nei confronti dei bambini desiderosi di offrire il proprio aiuto senza che abbiano la consapevolezza di quel che occorre per rendersi davvero utili. Sia chiaro che l’intenzione del pensiero appena esposto non è quella di semplificare e quindi sottovalutare il problema, anzi, il desiderio è proprio quello di inquadrarlo e relegarlo alla giusta dimensione d’ignoranza talmente vuota da rendere una dabbata a sostegno di Bello Figo quasi un gesto di resistenza.

L’esempio del bambino di qualche riga fa non è casuale: il bambino, proprio perché nuovo al mondo, è ignorante, non conosce quel che ha intorno (per questo si tende a giustificarlo) e fondamentalmente ragiona in base ai suoi istinti e alla sua breve esperienza di vita. Progressivamente però, attraverso la conoscenza del circostante e gli insegnamenti che riceve, capisce di avere una ragione sui suoi impulsi naturali e relega in secondo piano la parte più ignorante di se stesso. In questa fase tutto quello che il bambino conosce è nuovo e, semplificando un poco, forma la pietra di paragone contro cui saggerà tutto il resto della sua vita, tentando di cercare altrove quella stessa sensazione mitica di inedito. Perciò, con il passare del tempo, il mondo della prima ora diventa un ricordo di purezza assoluta e intatta al quale riferirsi: un mito. Lo stesso vale per il fascista che, come spiegato in questo articolo dai Wu Ming, rimanda a un passato di armonia e idillio, interrotto solo dall’intervento di un fattore o nemico esterno: l’Europa dei burocrati, l’immigrato, la casta… Il fascista vorrebbe tornare a quell’entità unita che è stata rotta da qualcosa che si è intrufolato; tuttavia, a differenza dell’esperienza del bambino che ha un reale, anche se mitizzato, rimando a qualcosa di vissuto, quel mondo armonioso al quale ritornare probabilmente non è mai esistito. I fascisti raccontano una storia tutta loro, una narrazione altra che possa giustificare il loro pensiero.

Tornando al discorso sul no profit si può dire che fondamentalmente esistono due tipi di organizzazioni: quelle umanitarie e quelle che lavorano per tutelare e valorizzare le minoranze. Come protezione civile La Salamadra si potrebbe catalogare tra le associazioni umanitarie perché si attiva in momenti di emergenza e porta aiuti alle persone, probabilmente decidendo di intervenire solo nei casi in cui ci siano solo italiani. Ma è lecito chiedersi: nella sfortunata ipotesi che ci sia da soccorrere un nero o da offrirgli un pasto caldo perché è sfollato, il volontario de La Salamandra come si comporta? Ipotizziamo un’alluvione:

– Aiuto, i miei vestiti sono tutti bagnati.
– Ma sei nero? Prima gli italiani.
– Ma io lo sono.
– Impossibile, non esistono neri italiani. Non posso aiutarti.

Questo assurdo dialogo, che spero vivamente non sia mai accaduto, mette in luce le contraddizioni tra il mondo fascista e il no profit, dimostrandosi però coerente con due pensieri cardine della destra più becera: il “non ci sono neri italiani” gridato a Mario Balotelli negli stadi e il “prima gli italiani” digitato su Facebook contro immigrati, rifugiati, stranieri in generale o palme. Riguardo quest’ultimo slogan è importante capire che non va inteso solo in senso temporale, ma come una distinzione di qualità: in quanto tali, gli italiani – forse sulla base del mondo mitico mai esistito descritto prima – hanno il diritto acquisito, e forse nella testa di qualcuno addirittura innato, di precedenza rispetto ad altri.

Invece, nel caso in cui volessimo considerare La Salamandra come un’associazione che tutela le minoranze, dovremmo compiere un arzigogolato gioco d’immaginazione e ammettere per un momento che l’Italia sia veramente invasa dagli immigrati (i numeri dicono che non è così) che discriminano i non-stranieri. In questo modo gli italiani in Italia diventerebbero da tutelare e La Salamandra avrebbe una sua ragion d’essere accettabile. Tuttavia, tenendo sempre presente i due motti di prima, diventa facile pensare che i fascisti non si accontenterebbero di raggiungere il livello di tutela e diritti della maggioranza, ma aspirerebbero comunque a stare meglio, a diventare minoranza privilegiata, quindi èlite o casta.

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  Via Scarlatti, Torino &#8211; Va in scena un piccolo, ma intenso cortocircuito: scusate, l&#8217;internazionalismo? Che si fotta!
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Al di là degli esempi paradossali e dei racconti che si spera essere neanche verosimili, emerge un elemento alla fine più fastidioso, e cioè il gioco sull’equivoco: c’è una sovrapposizione tra l’idea cardine del no profit di “fare la differenza”, ovvero di tentare, anche con un po’ di retorica, di rendere il mondo un posto migliore, e “fare una differenza”, una delle tante possibili e, proprio per questa ragione, parziale: italiani e non italiani; bianchi e neri; noi e loro. Su questa implicita sovrapposizione si fonda l’operazione di pulizia d’immagine che CasaPound sta mettendo in pratica per apparire credibile e accettabile, ma, analizzando con attenzione, risulta evidente che la distinzione sembra essere tra il desiderio e la speranza di agire per tutti e la volontà di lasciare un segno solo per pochi. Per certi versi quindi sembra essere un problema di immaginazione, ovvero di non riuscire a pensare delle strategie che siano il più onnicomprensive possibili, non riuscire a immaginare qualcosa di nuovo che possa conciliare più esigenze diverse. E sempre a proposito di immaginazione, c’è ancora un elemento da aggiungere al discorso: l’obiettivo utopico di qualunque organizzazione no profit è il divenire inutile e sparire per esaurimento del proprio compito e della propria mission; questo vorrebbe dire che le minoranze arriverebbero a godere dei diritti tanto agognati e che le missioni umanitarie non avrebbero più emergenze da fronteggiare. Nell’essenza de La Salamandra purtroppo questo pensiero di automatica inesistenza non trova spazio, proprio perché manca la capacità di pensare al mondo come un intero, foss’anche un mondo interamente fascista. Aggiungendo poi una considerazione più strettamente politica, questo ragionamento corrisponde al motivo per cui i colpi di stato di destra sono sempre stati avallati dalla borghesia: essa infatti esiste solo se nella società ci sono divisioni, se ha qualcuno più in basso da vessare e qualcuno più in alto da invidiare. A questo proposito si potrebbe aprire una finestra sul concetto di lusso accessibile, ma, per non appesantire ulteriormente, è meglio rimandare ad altra occasione.

Proseguendo, possiamo ora dire che un’organizzazione – definirla sociale o umanitaria sarebbe troppo – che si ispira a ideali di destra è intrinsecamente incoerente e sbagliata in partenza.

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  Bagni della Mensa di Sant&#8217;Apollonia, Firenze &#8211; L&#8217;appuntamento è nella sala del tè per rovesciare tutto.
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Il discorso è molto appassionante e ampio e proprio per questo non va banalizzato. Allargando poi lo sguardo, si riescono a cogliere tanti altri spunti. Per comprendere giova riferirsi alla natura visiva, geometrica e posturale degli elementi in gioco: in Inclinazioni. Critica della rettitudine Adriana Cavarero parla del significato maschilista e aggressivo della postura eretta rispetto a quella inclinata, materna e accogliente. L’orizzonte di fondo sembra essere il problema della fascistizzazione dei diritti: la democrazia è il governo dei diritti, intesi come le norme degli uomini retti, eretti e dritti (anche in senso fallico). In contrapposizione al governo dei diritti inteso in questo modo, la Cavarero pone l’inclinazione materna che si china e si sporge verso il proprio figlio bisognoso di attenzioni e premure. Il discorso si amplia e l’inclinazione indica un concetto più generale di slancio verso l’altro e di ciò che caratterizza la persona in quanto tale, ovvero quello che le piace e che le viene bene, in pratica i talenti.

Seguendo la logica messa in luce nel testo, per avere i tanto agognati diritti, l’essere umano non solo deve essere retto, ma se possiede delle inclinazioni spiccate (artistiche, umane, sessuali, comportamentali), deve normalizzarle per non essere escluso. Allora il senso della parola “diritti” cambia, non più un qualcosa che accoglie e che tutela tutti quanti, ma qualcos’altro a cui tutti quanti devono uniformarsi. In questo senso la forte analogia visiva tra la retorica tutta verticale del fascio e l’immagine dell’uomo retto porta con sé pure la sovrapposizione concettuale: l’uomo fascista, verticale, in posa con le mani sui fianchi è l’uomo retto, avente diritti. Per uscire da questa logica pericolosa sono dunque importanti le inclinazioni, di qualunque tipo. Questo ne è un famoso esempio:

Il re persiano Shahrīyār, essendo stato tradito da una delle sue mogli, uccide sistematicamente le sue spose al termine della prima notte di nozze. Un giorno Shahrazād, figlia maggiore del gran visir, decide di offrirsi volontariamente come sposa al sovrano, avendo escogitato un piano per placare l’ira dell’uomo contro il genere femminile. Così la bella e intelligente ragazza, per far cessare l’eccidio e non essere lei stessa uccisa, attua il suo piano con l’aiuto della sorella: ogni sera racconta al re una storia, rimandando il finale al giorno dopo. Va avanti così per “mille e una notte” (che è un modo di dire per indicare un periodo di tempo molto lungo); e alla fine il re, innamoratosi, le rende salva la vita.

L’immaginazione per creare e raccontare storie mettendo in atto una strategia di sopravvivenza è il vero talento della principessa che, oltre a salvarle la vita grazie all’innamoramento del re, cambia il diritto imposto che avrebbe ucciso altre ragazze. Per merito delle sue inclinazioni, Shahrazād, la protagonista, non solo si guadagna il futuro, ma lo rende possibile alle altre.

Chi ha voluto incorniciare le incredibili fiabe raccolte ne Le mille e una notte ha pensato questo stratagemma narrativo per dare uno scopo all’insieme delle storie. Per mantenersi in vita Shahrazād, oltre a sfruttare la propria inclinazione, si è inclinata a sua volta per andare incontro al re. Questo ha permesso al diritto di tornare a essere inclinato e in grado di allungarsi per raggiungere nuovi scenari che offrono inedite possibilità di esistenza a persone che prima l’avevano preclusa.

L’aspetto metanarrativo della faccenda, ovvero avere una cornice che racchiude mille e più storie, è simile al ruolo del web nelle nostre vite: ogni post, articolo, foto, audio, video è una storia dentro a una cornice di fondo che, però, nella sua complessità sembra non avere una macrostoria (un’eternità, uno scopo) da portare avanti; a pensarci forse al web manca una strategia creativa globale, tutto sembra affidato alle iniziative dei singoli (siano essi individui che pubblicano o grandi industrie che offrono servizi). Sebbene in origine internet venisse presentato come uno strumento di unione di popoli, capace di abolire le disuguaglianze, ora pare essere in grado solo di dividere e radicalizzare: le storie disomogenee, parziali e confuse che vivono all’interno, anziché tentare di inclinarlo verso nuovi orizzonti di fruizione e contatto con altri, sono involute e piegate su loro stesse. La Salamandra CPI è sicuramente una di queste storie senza scopo, racconta qualcosa che non incontra nessuno ed è un’espressione subdola di un vuoto che si trasforma in azione, un tentativo patetico di mettersi in mostra.

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  Via Andreis, Torino &#8211; Di qualcosa devono pur campare, no? No.
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L’immagine di copertina è una fotografia scattata a Torino in via Monte Rosa – o Pink.


Scritto da Edoardo Faletti | @edofale