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Rapidità

·1324 parole·7 minuti
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“Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile, i cui records segnano la storia del progresso delle macchine e degli uomini. Ma la velocità mentale non può essere misurata e non permette confronti o gare, nè può disporre i propri risultati in una prospettiva storica. La velocità mentale vale per sé, per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per l’utilità pratica che si possa ricavarne. Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato; tutt’altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza”.

Sappiamo che il nostro cervello è strutturato in modo da permettere due gradi di ragionamento. Il primo, quello primordiale, è legato a un tipo di risposta rapida, cioè quelle risposte che vengono da  stimoli di tipo meccanico come la fame o la sete. Questo tipo di rapidità risulta essere molto utile quando, per motivi autoconservativi, abbiamo necessità di rispondere in maniera veloce ad alcuni stimoli. D’altra parte però la filogenesi del nostro encefalo ha consentito che questo si sviluppasse per affrontare anche un altro tipo di ragionamento: quello lento.

La parte di cervello che utilizziamo per il ragionamento razionale è quella più lenta, ha bisogno di tempo per formulare dei pensieri complessi e quindi per rispondere a stimoli più complessi.

Ci sono voluti migliaia di anni affinché il nostro cervello riuscisse a sviluppare questa sua caratteristica “più moderna”, che poi è quella che identifica l’essere umano. Quel che stupisce è che il vivere sociale nella sua espressione telematica senta la necessità di reprimere la parte di cervello più razionale per lasciare maggior spazio a quella più primordiale.

In latino il termine pigrizia deriva dall’aggettivo “piger”, lento. All’otium viene contrapposto il negotium (non ozio), inteso come attività lavorativa. Tuttavia all’epoca dei Romani il lento ozio non era interpretato in maniera negativa, piuttosto come tempo libero per la riflessione, ma da quando gli orologi sono stati utilizzati per misurare le ore di lavoro, il tempo viene considerato come una moneta. La suddivisione del giorno in otto ore di lavoro, otto di sonno e otto di tempo libero, si è strutturata con la Seconda Rivoluzione Industriale e il Capitalismo e l’essere umano ha cominciato a quantificare le ore in termini economici. Con “il tempo è denaro” intendiamo che non bisogna sprecare neanche un secondo e che ogni tentativo per ottimizzare quei pochi che abbiamo è ben accetto. La sempre maggiore importanza data all’obiettivo finale, il denaro, ha pian piano tolto importanza al tempo, trasformandolo in un mezzo o, peggio, in un ostacolo. Perché impiegare per un lavoro otto ore quando una macchina lo può svolgere in cinque minuti? Perché copiare a mano un testo quando possiamo usare un computer, più rapido e con la possibilità di cancellare? E, infine, perché perdere tempo a memorizzare qualche informazione quando la possiamo trovare sempre sullo smartphone?

L’interesse per l’obiettivo, che può essere il denaro ma come abbiamo visto anche il soddisfacimento personale, può trasformare tutto il resto in pura e semplice noia o burocrazia da spazzare via. Ecco che allora spuntano applicazioni come Tinder che possono cancellare la parte ingombrante di una relazione (l’impaccio del primo incontro, i fraintendimenti, i dubbi…) per arrivare subito al dunque: io e te ci piacciamo, quindi…“scopiamo?”. La rapidità di arrivare all’obiettivo rischia così di eliminare l’essenza della vita, ovvero ciò che fornisce un senso alla condizione umana, rendendola diversa dall’animale.

Come suggerisce Calvino la rapidità non deve essere considerata solo nella sua utilità pratica; è necessario allora accantonare per un momento l’obiettivo e usarla per altri motivi. In questo senso, applicazioni come Tinder possono certamente permettere l’incontro in maniera rapida, lasciando poi all’essere umano l’onore e l’onere di approfondire la relazione, con tutti gli ingombri accennati prima.

In realtà, appare quasi evidente che la difficoltà più grossa da affrontare sia data non dalla rapidità in quanto tale, ma dalla difficile gestione di essa. Non sempre siamo in grado di controllare questa responsabilità e l’obiettivo, che sembra essere molto più alla portata di un tempo, attrae con intensità.

Dobbiamo dunque guardare con sospetto alla rapidità, soprattutto nell’era digitale?

Calvino scrive chiaramente nelle sue lezioni che non vuole osannare un valore a discapito di quello opposto, anzi. Alla fine della lezione sulla Rapidità, parla di Vulcano e Mercurio, due entità complementari e inseparabili, uno indica la focalità, l’altro la sintonia. In pratica:

“il lavoro dello scrittore deve tener conto di tempi diversi: il tempo di Mercurio e il tempo di Vulcano, un messaggio d’immediatezza ottenuto a forza di aggiustamenti pazienti e meticolosi; un’intuizione istantanea che appena formulata assume la definitività di ciò che non poteva essere altrimenti; ma anche il tempo che scorre senza altro intento che lasciare che i sentimenti e i pensieri si sedimentino, maturino, si distacchino da ogni impazienza e da ogni contingenza effimera”.

Il digitale ci sta forse portando via il tempo di Vulcano, quello della riflessione introspettiva? Sembra esserci uno sbilanciamento clamoroso a favore di Mercurio che, però, a ben vedere, di per sé non può nulla.

Werner Sombart, parlando a proposito dell’imprenditore capitalista, lo definisce affascinato come un bambino da quattro valori: la grandezza materiale, la rapidità di movimento, la novità, il senso della potenza. Se pensiamo all’uomo comune digitale, capiamo che riesce a soddisfare questi valori grazie al web: la grandezza materiale si ottiene misurando i seguaci e follower, più grande è questo numero, più è contento; la rapidità avendo tutto e subito, compreso in alcuni casi il sesso (magari anche gratuito); la novità scoprendo le nuove tendenze, i nuovi gadget, le ultime notizie,…; il senso di potenza viene soddisfatto dalla possibilità di giudicare, di scrivere la propria opinione ed essere considerato (pensiamo a tutti i commenti sui disordini a Milano in occasione dell’inaugurazione dell’EXPO), o per lo meno, sapere di essere in un flusso che contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica.

La frenesia del tempo di Mercurio, grazie anche al digitale, ha preso il sopravvento e non c’è più tempo per l’indugio, per la pazienza, per l’accoglienza. Per questo forse siamo ostili nei confronti dei migranti, dei Rom, dei barboni e bighelloni, con quelli che in pratica non “fan ballare i piedi”, che non producono.

Oggi Internet sembra funzionare così bene proprio per la sua rapidità nel fornirci le risposte che ci servono. Siamo sempre più insofferenti quando dobbiamo aspettare davanti a una pagina web in caricamento che, secondo uno studio di Google, visitiamo un sito web con minore frequenza se funziona qualche millisecondo più lentamente (Internazionale n. 1092, “Sempre di corsa”).

Il web è tecnicamente veloce, sempre di più, e in base a questo riusciamo a consumare sempre più informazione (se non è di più in termini quantitativi è di più in termini qualitativi: più raffinata, come un film in hd contrapposto a un video di Youtube). Ma è la tecnologia che cambia i contenuti o sono i contenuti che cambiano la tecnologia? Youtube funziona perché i video sono veloci, nel senso che durano poco. Rapido e corto non hanno di certo lo stesso significato e qui probabilmente scatta il primo corto circuito: una cosa rapida viaggia veloce, una cosa corta dura poco.

E quando la velocità viene associata all’istantaneità? Un altro mondo si apre, sempre più vicino a Mercurio. L’istantaneità pare essere una buona traduzione da una tecnologia veloce a dei contenuti veloci, che arrivano subito; tuttavia spesso ci capita di confondere una tecnologia veloce a usi veloci, superficiali, poco profondi (corti in tutti i sensi). In rete veniamo quotidianamente bombardati da stimoli che necessitano una risposta rapida, veloce e non c’è tempo di soffermarsi a elaborare un pensiero, anzi: chi rallenta perde il giro. La stessa rapidità, più che una modalità con cui affrontare la vita, sembra essere diventata un bisogno dell’essere umano.

Ma siamo davvero biologicamente costruiti per questo?


Bibliografia.

1. Maffei Lamberto (2014), Elogio della Lentezza, Il Mulino, Bologna. 2. Laura Minestroni (2006), Comprendere il consumo. Società e cultura dai classici al postmoderno, Franco Angeli, Milano.